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La Vibrazione Meccanica Focale nella Terapia del Movimento

LA VIBRAZIONE MECCANICA FOCALE NELLA TERAPIA DEL MOVIMENTO – PUBBLICATO SU FISIONLINE

Filippo Camerota – Istituto di Medicina Fisica e Riabilitazione Università La Sapienza di Roma

Ciclicamente l’interesse per possibili applicazioni terapeutiche o sportive della vibrazione meccanica si risveglia nel mondo scientifico e negli anni ha dato luogo ad una letteratura imponente quanto, almeno in apparenza, contraddittoria.

Come di regola, è bene iniziare con il definire ciò di cui si parla, nello specifico si tratta di definire il concetto di vibrazione meccanica.

L’espressione “vibrazione meccanica si riferisce in particolare ad un’oscillazione meccanica attorno ad un punto d’equilibrio. È anche opportuno affermare con chiarezza che dizioni di recente introduzione, come “energia vibratoria”, non hanno alcun significato scientifico.

La grandezza delle oscillazioni prende nome di ampiezza. Il numero di oscillazioni nell’unità di tempo (di solito in un secondo) costituisce la frequenza. Ampiezza e frequenza sono i due parametri di maggiore rilievo in questo contesto.

La vibrazione meccanica può giungere in relazione con il nostro corpo fondamentalmente in due forme:

1.    può invadere l’intero corpo ed in questo caso è convenzionalmente chiamata Whole Body Vibration (WBV):

Guido Maria Filippi - Istituto di Fisiologia Umana, Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma

Guido Maria Filippi – Istituto di Fisiologia Umana, Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma.

2.    può interessare singoli muscoli o piccoli gruppi di muscoli adiacenti e viene così spesso indicata come Focal Vibration (FV).

L’interesse per queste due forme di vibrazione meccanica ha seguito un iter contorto. La WBV ha attratto ed attrae l’attenzione della ricerca clinica fondamentalmente in quanto spesso causa di patologie, in particolare in ambiti lavorativi. L’esposizione alla WBV  è infatti presente e in parte inevitabile in molti ambienti di lavoro. In genere la WBV parte dalle mani o dai piedi per poi propagarsi a tutto il corpo.

La prolungata esposizione a tale tipo di stimolo meccanico è associata ad una elevata occorrenza di disturbi e patologie a carico degli apparati vascolare, neurologico e muscolo-scheletrico (2). Per tale ragione esiste un’importante e dettagliata normativa europea in materia  (18), destinata a delimitare e circoscrivere l’esposizione alla WBV. La prudenza nell’esposizione a tale forma di stimolo meccanico deve essere ancor maggiore in quanto, ad oggi, non sono definite con sicurezza, la combinazione o le combinazioni di ampiezza, frequenza, tempo e ripetitività di esposizione alla WBV pericolose per la salute dell’individuo.

A partire dagli anni ’70, numerosi studi provenienti dall’Europa dell’Est e quindi dall’occidente (16, 20, 21, 22) hanno preso in considerazione la WBV per contrastare l’osteoporosi, o per incrementare la performance motoria o per indurre rilascio di vari tipi di ormoni, ma non si giunse a nulla di applicativo. Infine nel 2000, per spinta di un fisiologo, C. Bosco, venne riconsiderata sui medesimi temi. Alcuni autori sostengono la presenza di effetti a breve termine rilevanti (26), mentre autorevoli riviste parlano di una totale inefficacia (27). Gli effetti appaiono essere fondamentalmente transitori, al più persistenti per tempi molto brevi dopo la stimolazione, mentre sono incerti e particolarmente contrastanti quelli lungamente persistenti nel tempo (6). I meccanismi ipotizzati sono di tipo metabolico o più semplicemente meccanico, anche se, per gli effetti cronici sono adombrati possibili interventi da parte del Sistema Nervoso (6).

Infine è opportuno considerare come in caso di patologia od anche nei soggetti sani, siano presenti in realtà delle asimmetrie motorie, ovvero dei gruppi neuromotori deficitari rispetto ad altri. In simili situazione un intervento globale, ancorché efficace e privo di rischi, non farà altro che mantenere l’asimmetria, mentre un’azione topica è certamente più auspicabile.

In sintesi, ad oggi, I risultati clinici della WBV sono contrastanti e non chiara l’interazione con gli aspetti negativi della WBV (12).

Diverso è invece il percorso scientifico della Focal Vibration.

Nel 1963 (1) si dimostrò che la FV a bassa ampiezza è in grado di stimolare potentemente e selettivamente alcuni tipi di recettori nervosi implicati nel controllo motorio. questo dato aprì le porte ad un largo impiego della FV per studiare la fisiologia di questa parte del controllo motorio e per individuare eventuali effetti benefici di tale forma di stimolazione per la funzione motoria.

curare artrosi senza farmaciLa vibrazione meccanica focale ed i recettori nervosi muscolotendinei.

Muscoli e tendini possiedono due tipi di recettori nervosi innervati da fibre di medio e grande calibro, quindi con velocità di conduzione elevata, i fusi neuromuscolari e gli organi tendinei di Golgi (GTO, Golgian Tendon Organ). I primi mediante fibre sensitive convenzionalmente chiamate Ia (primarie, con velocità di conduzione compresa tra 72 e 120 m/s) e II (secondarie con velocità di conduzione compresa tra 24 e 72 m/s) avrebbero la funzione di controllare velocità ed estensione dell’allungamento o accorciamento delle fibre muscolari (18). I secondi, le cui fibre nervose sono denominate Ib (con velocità di conduzione compresa tra 72 e 120 m/s), sono considerati essere destinati a rilevare le tensioni sviluppate da singole unità motrici (13).

Nel 1963 il Prof. R. Bianconi, primo docente di Fisiologia Umana dell’Università Cattolica di Roma, dimostrò (1) come la vibrazione meccanica, applicata ad un singolo muscolo, ad opportune ampiezze e frequenze, fosse in grado di attivare selettivamente e in modo differenziato afferenze fusali primarie (Ia), secondarie (IIb) o GTO, a seconda delle caratteristiche dello stimolo. Inoltre, non solo venne dimostrata la possibilità di attivare in modo del tutto non invasivo classi selezionate di recettori, ma si evidenziò un altro aspetto di straordinaria importanza per la ricerca: per determinate caratteristiche di frequenza ed ampiezza della vibrazione applicata: questi recettori generano frequenze di potenziali d’azione fedeli alla frequenza di vibrazione applicata, guidando (fenomeno del “driving”,) le afferenze attivate ad una frequenza di scarica identica a quella di stimolazione (1, 3, 18). Il “driving” consente di guidare un’afferenza fusale primaria a frequenze di 20 o 30 o 100 Hz applicando vibrazioni a frequenza di 20 o 30 o 100 Hz, senza dover usare stimoli elettrici o dover isolare chirurgicamente fibre nervose, ma semplicemente applicando una FV su un singolo muscolo. Dunque, con opportune frequenze ed ampiezza di vibrazione è possibile sia selezionare le afferenze attivate, sia determinare la frequenza di potenziali d’azione inviata al Sistema Nervoso Centrale.

Per la prima volta si potevano inviare a specifici centri del Sistema Nervoso Centrale (quelli che lavorano utilizzando le informazioni dai fusi e dai GTO) frequenze di potenziali d’azioni predefinite, scegliendo opportunamente i parametri della vibrazione, seguendo, al tempo stesso, modalità di attivazione non invasive e vie afferenti fisiologiche. Si trattava di un radicale cambiamento delle modalità di stimolazione di vie sensitive rispetto a quelle realizzate, mediante stimolazione elettrica, su interi tronchi nervosi od anche su singole fibre: situazioni queste altamente non fisiologiche ed aspecifiche.

La possibilità di attivare selettivamente afferenze propriocettive “importanti”, dischiuse 2 grandi linee di ricerca.

1.    La prima, per mole ed importanza di risultati, si è volta all’impiego della FV per studiare le caratteristiche dei recettori muscolari e tendinei e la loro azione sui centri.

2.    La seconda è stata mirata ad individuare possibili effetti positivi indotti dalla vibrazione meccanica focale.

Mentre gli studi sulle caratteristiche funzionali dei recettori muscolo-tendinei esula da questa trattazione, la ricerca sulle possibilità applicative della vibrazione deve essere invece considerata.

crosystem riabilitazione ictus ischemia artrosiStudi sulle potenzialità applicative della FV

A differenza della WBV la FV consente un utilizzo molto preciso di questo tipo di stimolo. La non diffusione lungo il corpo, propria della FV e il suo restare confinata a piccoli distretti impedisce un fenomeno tipico della propagazione di segnali meccanici attraverso strutture disomogenee come i tessuti biologici (adipe, cute, muscoli, ossa, cartilagini, connettivi, ecc.): la distorsione del segnale applicato. Con la FV sappiamo quale segnale applichiamo quali terminazioni nervose si stimolano e quale segnale giunge ai centri.

Tuttavia gli studi sull’applicabilità della FV, in un susseguirsi di alti e bassi nell’interesse della comunità scientifica, si sono sempre scontrati con un problema fondamentale. Tutti gli effetti sparivano al termine della stimolazione vibratoria.

In anni più recenti si sono tuttavia individuati alcuni parametri della FV in grado di modificare in modo persistente e complesso il controllo motorio. In particolare la ricerca ha evidenziato 3 aspetti rilevanti:

1.    come già ampiamente documentato da molti autori (1, 3, 18), la frequenza della vibrazione deve essere un segnale “puro”, costituito da un’unica armonica, ovvero da un’unica frequenza, in grado di dare luogo ad un fenomeno di “driving”;

2.    gli effetti persistono solo se si applicata una frequenza pura, compresa tra 70 e 120 Hz (23, 24);

3.    gli effetti persistono se la stimolazione viene protratta per almeno 10 minuti (24).

Inoltre la FV appare in grado di modificare l’eccitabilità corticale dell’area motrice primaria, sia durante la vibrazione, sia dopo la fine della vibrazione (9, 10, 14) e, in altri recenti studi, la FV, a 100 Hz, applicata sui muscoli nucali, appare in grado di migliorare, in modo persistente la percezione di sé nello spazio (15, 25).

Alcuni gruppi di ricerca hanno quindi affrontato il problema in modo sistematico, così da definire un protocollo applicativo in grado di ottenere risultati ripetibili e quindi valutabili nei meccanismi sottesi (4, 5, 8, 17).

Lo sviluppo di uno strumento in grado di applicare una vibrazione secondo i parametri sopra esposti.

La metodica applicata, per quanto sopra esposto è stata basata sulla FV. Lo sviluppo della strumentazione a comportato numerose problematiche tecniche. Poiché un oggetto vibrante tende a far vibrare anche ciò che lo sostiene e, per leggi fisiche, questo vibrerà probabilmente con caratteristiche diverse, si avrebbero con elevata probabilità almeno due diverse frequenze destinate a miscelarsi risultando un’oscillazione non più pura, quindi non più a 100 Hz, ma caratterizzata da frequenze ben più alte. Tutto l’apparato di sostegno doveva quindi avere caratteristiche strettamente antivibranti e tali da permettere il trasferimento del segnale dal vibratore alla muscolatura da trattare, senza interferenze aggiuntive.

Infine lo strumento è stato concepito in modo da poter agire su qualunque gruppo muscolare, essendo liberamente orientabile nello spazio in tutte le direzioni.

L’esperienza ha fatto scartare le ipotesi, pur allettanti, di strumenti in grado di agire contemporaneamente su più di due gruppi muscolari. In realtà, l’applicazione di FV in molti punti avrebbe sia trasformato la Fv in una WBV, sia favorito il prodursi di frequenze ed ampiezze di vibrazione completamente diverse da quelle desiderate.

Ne è nato uno strumento caratterizzato da una centralina elettronica, uno stativo abbastanza particolare destinato a sostenere ed orientare il motore (elettrodinamico a magnete permanente) e degli applicatori destinati ad agire sui muscoli selezionati.

Lo strumento è stato denominato Crosystem, un acronimo per Counter Reaction Loop System, letteralmente sistema ad anello di controreazione, la traduzione tecnica italiana di “sistema a feedback”, in quanto destinato ad intervenire sui circuiti di controllo motorio, o, più semplicemente, perché lo stimolo parte dal muscolo, modifica i centri di controllo e torna alla funzione muscolare dello stesso muscolo trattato.

macchinario riabilitazione fisioterapiaUn nuovo protocollo: repated Muscle Vibration (rMV)

Superati questi problemi, una serie di prove hanno evidenziato che un’esposizione a tale vibrazione per 10 minuti continuativi, per 3 volte al giorno, per 3 giorni consecutivi, è adeguata ad ottenere il massimo effetto con il minor tempo applicativo. Inoltre si è osservato che eseguire una vibrazione di 30 minuti continuativi, senza effettuare un sia pur brevissimo intervallo, riduce marcatamente gli effetti, probabilmente a causa del fenomeno dell’habituation..

A causa di questa ripetitiva esposizione alla vibrazione, si è introdotta la denominazione rMV (ripetitive Muscle Vibration).

Infine, gli effetti sono riscontrabili solo se il soggetto tiene in leggera contrazione volontaria, isometrica, il muscolo da trattare durante tutto il periodo in cui la vibrazione è attivata. Inizialmente tale condizione è stata scelta per facilitare la trasmissione della vibrazione meccanica nel contesto muscolare, grazie all’aumento della rigidità indotto dalla contrazione muscolare e per incrementare la sensibilità dei fusi neuromuscolari mediante la concomitante attivazione dei circuiti gamma. Successivamente, si è attribuito a tale aspetto del protocollo un ruolo ben maggiore.

Il primo studio su soggetti sani circa le potenzialità della rMV – Azione della rMV sul controllo della rigidità articolare

Uno studio in doppio cieco, determinante nel definire gli effetti e nell’intuire i meccanismi d’azione  di questo particolare sistema integrato costituito da un protocollo e un dispositivo “ad hoc”, è stato condotto su soggetti sani (8), applicando la rMV sul muscolo Quadricipite.

Lo studio ha suggerito che l’azione della vibrazione protratta era in grado di modificare persistentemente (test eseguiti 15 giorni dopo il trattamento) il controllo motorio della principale articolazione trattata. In particolare i soggetti presentavano uno spiccato aumento (+40%) della resistenza alla fatica all’esercizio ripetuto (movimenti di leg extension sotto carico). Tale aumento è stato attribuito ad un miglioramento del controllo della rigidità articolare, indotto da una riduzione dell’impedenza articolare dettata dalle coattivazioni muscolari. La parallela diminuzione del tempo di salita della massima forza di contrazione isometrica (rimasta questa invariata, prima e dopo il trattamento) è stata attribuita alla più fine stabilizzazione articolare, manifestata dalla probabile riduzione delle coattivazioni, che consentiva al Sistema Nervoso di far esplodere con maggiore efficacia la forza del Quadricipite.

In sintesi il protocollo sviluppato presentava alcuni effetti del tutto inediti e ne suggeriva i possibili meccanismi. In particolare si evidenziava che:

1.        l’applicazione di un FV a bassa ampiezza (< 0,1 mm), a 100 Hz, per 10 minuti consecutivi, 3 volte al giorno, per 3 giorni consecutivi è in grado di indurre modifiche importanti e persistenti nella performance motoria.

2.        la rMV sembra agire direttamente sul controllo motorio incrementando il controllo articolare ed in particolare il controllo della rigidità articolare.

Le novità introdotte da questo studio erano veramente cospicue, infatti si delineava, con questo primo studio, un sistema integrato costituito da un protocollo ed una particolare strumentazione in grado di indurre in soli 90 minuti effetti sul controllo motorio della durata di almeno 15 giorni e di grande intensità.

Inoltre il meccanismo d’azione appariva risiedere in una modifica del controllo della rigidità articolare, quindi in un’azione diretta sul Sistema Nervoso Centrale e su un parametro, la rigidità articolare, che è uno dei più complessi e determinanti nel controllo motorio. in particolare il controllo della rigidità articolare è il nodo della riabilitazione motoria. È un parametro interamente gestito al di fuori del controllo volontario e dunque modificabile dal terapista solo attraverso vie indirette e dunque difficili, lunghe ed incerte. È un aspetto che condiziona quasi tutte le patologie motorie, si pensi alle spasticità o alle ipotonie muscolari (rispettivamente eccessi e deficit della rigidità articolare) e alle conseguenze che queste hanno nel deficit motorio, nella qualità della vita e all’ostacolo che costituiscono al binomio terapista-paziente per giungere a strategie motorie corrette.

In conseguenza di tali deduzioni lo studio è stato esteso a situazioni in cui la rigidità articolare risultava esplicitamente alterata, sia nel senso di un deficit, sia nel senso di un incremento.

Applicazione della rMV su pazienti con danni ortopediciCrosystem - Funzioni Neurologiche

Una lesione ortopedica ha origine, per definizione, nella struttura attuativa del nostro sistema motorio (muscoli, articolazioni, ossa, legamenti ecc.), ma, effettuata la riparazione biomeccanica, il deficit che spesso residua è di tipo neurofisiologico.

La ricostruzione del legamento crociato anteriore (ACL) è tipicamente uno di questi casi. Pur in presenza di ricostruzioni chirurgicamente ineccepibili in grado di restituire una struttura biomeccanica eccellente, il recupero è tipicamente incompleto, come documentato nel persistere del deficit nel test dello “standing in eye closed condition”:  il paziente residua una capacità marcatamente ridotta di restare in equilibrio, ad occhi chiusi, sulla gamba operata. In altri termini, il solo input propriocettivo non appare in grado di garantire il controllo articolare adeguato.

Il nuovo protocollo rMV è stato quindi utilizzato, in doppio cieco, su pazienti in cui il legamento era stato ricostruito (5). La rMV è stata applicata sul Quadricipite della gamba operata, 30 giorni dopo la chirurgia per evitare di esporre il ginocchio ad uno stimolo meccanico certamente innocuo su un soggetto sano, ma potenzialmente traumatico in un decorso post-chirurgico. Il gruppo di pazienti seguiva la stessa riabilitazione del gruppo di controllo, non vibrato e di un gruppo in cui la vibrazione era applicata in modo inefficace. Già 24 ore dopo il trattamento la stabilità dei soggetti cui era applicata la rMV migliorava in modo statisticamente significativo e presentavano nelle settimane a seguire un trend assolutamente migliorativo. Gli altri due gruppi in cui invece la rMV non era stata applicata od era applicata in modo inefficace presentavano nel tempo l’andamento caratteristico di questi pazienti, pur in presenza di riabilitazione: l’equilibrio sulla gamba operata, ad occhi chiusi, non migliorava nel tempo.

L’analisi della forza sviluppata mostrava ugualmente miglioramenti statisticamente importanti. Anche in questo studio si rivelava indispensabile la combinazione contrazione volontaria+vibrazione, inoltre la comparsa degli effetti a 24 ore dalla fine della rMV rendeva possibile solo un meccanismo di tipo nervoso indotto dal trattamento. La lunga durata (i pazienti sono stati seguiti per 120 giorni) e l’incremento degli effetti, senza alcuna ripetizione del trattamento con rMV, suggerivano un’azione di consolidamento, operata dalla stessa riabilitazione, sulle modifiche plastiche indotte dalla rMV.

Il trattamento con rMV si mostrava quindi in grado di aumentare la resistenza alla fatica, l’esplosione della forza nei soggetti sani e il controllo del bilanciamento del corpo dopo lesione e ricostruzione dell’ACL. Questi meccanismi sono stati attribuiti ad una migliore gestione, da parte del Sistema Nervoso Centrale, dei gruppi muscolari integrati nell’articolazione del ginocchio (5, 8).

È di assoluto rilievo sottolineare come tali miglioramenti, così marcati,   siano stati ottenuti dall’associazione tra vibrazione erogata con il Crosystem e riabilitazione specifica, naturalmente la medesima eseguita dai gruppi di controllo.

 

crosystem riduce cadute anzianiI correlati neurofisiologici

Entrambi gli studi sopra descritti hanno suggerito che la rMV fosse in grado di indurre modifiche plastiche nel Sistema Nervoso Centrale, in particolare a carico dei circuiti di controllo del muscolo trattato e forse di quelli correlati funzionalmente. Questi risultati rendevano indispensabile cercare dei correlati neurofisiologici ai dati ottenuti dallo studio della performance motoria.

Il meccanismo innescato appariva in grado di modificare la gestione della rigidità articolare, un controllo molto complesso che richiede l’interazione di numerosi gruppi di unità motrici appartenenti a muscoli anatomicamente diversi, con fini e rapide modifiche nel corso dello svolgimento dell’atto motorio. Modifiche plastiche del Sistema Nervoso andavano dunque  ricercate “in alto” nel Sistema Nervoso Centrale. Si è quindi rivolta l’attenzione alla corteccia motrice primaria (M1). Mediante una tecnica non invasiva e relativamente semplice da applicare, la Stimolazione Magnetica Transcranica (TMS), è possibile stimolare micro-aree di tale regione. Le cellule piramidali attivate attivano a loro volta popolazioni motoneurali spinali e il segnale elettrico muscolare evocato (Magnetic Evoked Potential, MEP) da tale stimolazione corticale può essere registrato mediante un EMG di superficie. È così possibile studiare l’estensione corticale delle aree implicate nel controllo di particolari muscoli, il loro livello di eccitabilità e, mediante procedure un poco più complesse, meccanismi di controllo esercitati da circuiti corticali su queste stesse aree.

Per questo studio, condotto da Barbara Marconi (17), ricercatrice della Fondazione S. Lucia e della Fondazione EBRI, insieme ad altri collaboratori, è stata applicata la rMV sul muscolo Flessore Radiale del Carpo su soggetti sani. L’applicazione della TMS ha permesso di evidenziare come il trattamento con rMV stimolasse meccanismi inibitori intracorticali sulle aree relative al muscolo trattato, mentre le aree corrispondenti al muscolo antagonista (l’Estensore Comune delle dita) risultavano essere facilitate. Gli effetti erano presenti solo nella combinazione contrazione muscolare volontaria + vibrazione e persistevano almeno 15 giorni, con un ritorno alla situazione antecedente la rMV entro 30 giorni dal trattamento.

La necessità di associare insieme contrazione muscolare volontaria+vibrazione suggerisce che il fenomeno plastico sia indotto da un meccanismo di tipo associativo che implica un’attivazione associata di popolazioni cellulari diverse.

Da un punto di vista di significato funzionale, si ritiene che un aumento dell’inibizione nei circuiti intracorticali di M1 favorisca l’individuazione dei muscoli da impiegare nel corso del movimento, riducendo le contrazioni indesiderate, o, in senso più generale le co-contrazioni indesiderate. Questo meccanismo è accentuato, naturalmente, dai processi di inibizione reciproca corticale, per cui l’attivazione di un gruppo muscolare inibisce l’antagonista e viceversa. Il trattamento con rMV appare dunque in grado di attivare entrambi questi meccanismi, che, funzionalmente, si ritiene contribuiscano alla regolazione delle co-contrazioni. Il meccanismo delle co-contrazioni è, nel bene e nel male, determinante nei nostri movimenti, ma costituisce, come già accennato, anche un grave problema nel training e nella riabilitazione.

Le co-contrazioni sono determinanti nel regolare la stiffness articolare, ma, al tempo stesso sono causa di maggior dispendio energetico e metabolico, minore efficienza muscolare, maggiore fatica, minore velocità di esecuzione. I risultati dello studio con la TMS sono apparsi dunque coerenti con quanto ipotizzato negli studi precedenti (4, 8): la rMV risulta in grado di potenziare meccanismi di controllo motorio, ritenuti essere implicati nel controllo articolare. La possibilità che la rMV produca una riduzione delle co-contrazioni ed una migliore gestione agonista/antagonista è inoltre coerente con l’aumento di resistenza alla fatica e con la riduzione dei tempi di esplosione della forza osservati su soggetti sani.

Il miglioramento delle co-contrazioni, da un lato indispensabili, dall’altro ostacolo all’esecuzione motoria, è molto difficile, così come il controllo articolare in senso più largo,. Si tratta infatti di regolazioni che sfuggono alla nostra volontà e coscienza e dipendono interamente dall’azione del Sistema Nervoso Centrale. Qualunque intervento su di esse è quindi solo altamente indiretto e dunque oltremodo lungo e faticoso, come testimoniano le caratteristiche del training sportivo e della riabilitazione motoria. La rMV, in base a questi risultati, appare in grado di agire direttamente, rapidamente e in modo del tutto non invasivo su tali meccanismi.

Nello studio della Marconi la situazione torna a quella antecedente alla rMV entro 30 giorni, mentre i soggetti con ricostruzione dell’ACL, seguiti fino a 120 giorni dopo il trattamento, senza ripetizioni di questo, continuavano ad incrementare la loro performance. Tali differenze risiedono probabilmente nella mancata possibilità di consolidamento degli effetti plastici nel caso di trattamento del Flessore Radiale del Carpo nei soggetti sani rispetto a quanto accadeva nei pazienti con ricostruzione dell’ACL. Nei primi infatti, dopo trattamento rMV, il gruppo muscolare trattato continuava ad essere utilizzato come precedentemente al trattamento. Nei secondi invece la riabilitazione stimolava ulteriormente il controllo del ginocchio. La situazione neuromotoria del flessore del Carpo era dunque fisiologicamente ricondotta alla situazione “normale” nei soggetti sani, mentre nei pazienti operati la riabilitazione spingeva ad incrementare e, soprattutto, consolidare gli effetti della rMV.

Queste considerazioni sottolineano l’importanza dell’interazione tra rMV ed esercizio, sulla base sia dei dati sperimentali ottenuti dall’impiego della rMV, sia di quanto noto dalla neurofisiologia.

Espansione razionale delle acquisizioni sperimentali

Quanto osservato e discusso ha proposto nuove considerazioni. Le ipotesi sulla capacità dell’rMV di agire sul controllo delle co-contrazioni ha infatti suggerito due settori di intervento apparentemente opposti, ma in realtà con un comune denominatore: il controllo articolare alterato. L’instabilità dell’anziano e i quadri neurologici caratterizzati da spasticità.

Il cattivo controllo articolare nella spasticità è sostanzialmente evidente nello sbilanciamento tra agonisti ed antagonisti e nelle dissinergie. Nell’anziano il cattivo controllo articolare ha certamente un ruolo importante nella perdita di stabilità e nella diminuzione di forza. La perdita di stabilità in modo particolare ha una rilevanza notevolissima, essendo il problema delle cadute un costo sociale enorme: solo per le conseguenti fratture di femore impegna ogni anno oltre un miliardo di euro tra costi diretti ed indiretti e la morte di oltre 16000 over 65 all’anno. Inoltre il quadro dell’instabilità negli anziani è un tipico circolo vizioso che eventuali cadute accelerano. Il soggetto infatti si sente debole ed instabile per cui riduce la sua attività fisica ed anche le sue attività quotidiane. Tale riduzione accentua la stanchezza e l’instabilità e il circolo si chiude.

Per lungo tempo si è cercato di recuperare questo deficit cercando di incrementare la forza del soggetto mediante training anche ad alto impatto, per altro difficilmente accettabili per soggetti di età avanzata. In tempi più recenti si è tuttavia data evidenza del ruolo che le co-contrazioni hanno negli anziani e nella perdita di controllo propriocettivo che si sviluppa. In effetti la perdita di controllo (quindi questa più che la perdita di forza) spinge l’anziano ad irrigidirsi, utilizzando maggiormente le co-contrazioni (11). Si può dire, paradossalmente, che l’anziano stia in piedi con la forza anziché con l’equilibrio.

Effetti dell’rMV sull’anzianoCrosystem riduce cadute degli anziani

Il primo studio sugli effetti del trattamento con rMV sugli anziani è stato eseguito presso l’Università di Perugia, in collaborazione con l’Università Cattolica e la Sapienza di Roma. Anche in questo studio presentato in forma preliminare nel 2004 (4) ed oggi in revisione presso lo Eur J Appl Physiol, condotto in doppio cieco ed utilizzando sia la rMV, che una falsa stimolazione, è stato stimolato il Quadricipite di donne di oltre 60 anni di età. Le pazienti hanno ricevuto un solo trattamento di rMV e nessuna di esse partecipava prima del trattamento e durante il periodo di studio (90 giorni) a programmi di attività fisica.

Anche in questo caso a 24 ore dalla fine del trattamento, gli indici analizzati (la potenza nel balzo e l’oscillazione del corpo nella postura monopodalica) risultavano significativamente migliorati e nei 90 giorni successivi il miglioramento si accentuava, raggiungendo e mantenendo fino al 90° giorno di studio un incremento di circa il 35% nella potenza delle gambe di circa il 40% nella stabilità. Il lungo mantenimento dei risultati in questo caso è stato attribuito al consolidamento degli effetti plastici grazie allo spontaneo incremento delle semplici attività quotidiane. Le partecipanti allo studio, trattate con rMV (negli altri due gruppi non è stato osservato alcun effetto), pur non svolgendo alcun training specifico, hanno tutte riferito di muoversi con meno fatica e più agevolmente nel corso della giornata, per fare la spesa, le pulizie di casa, salire le scale ecc.. Il quadro suggerisce che l’rMV abbia spezzato il circolo vizioso descritto, favorendo l’incremento ed il mantenimento per consolidamento degli effetti plastici.

Questo studio oltre a confermare le ipotesi formulate da Marconi e collaboratori ha messo in evidenza uno spiccato aumento della potenza delle gambe. Quest’ultimo dato può essere spiegato con una migliore stabilità articolare e diminuite co-contrazioni, ma ci si è chiesto se possa essere presente anche un migliore reclutamento di unità motrici.

Quest’ultima ipotesi è stata di fatto confermata da un nuovo studio con la TMS, condotto ancora dal gruppo della Dr Marconi ed in fase di stesura.

Soggetti over 65, sottoposti a rMV presentano un’importante riduzione della soglia nelle popolazioni neuronali che controllano il Quadricipite, parallela ad un incremento dell’inibizione intracorticale e della facilitazione reciproca dei flessori della gamba. Il miglioramento di questi 3 parametri che tipicamente peggiorano con l’età, il loro persistere migliorati per almeno un mese (nei soggetti anziani la TMS è molto disagevole e non si possono fare molti test), profilano un’azione di contrasto della rMV nei confronti di un deterioramento motorio tipico dell’invecchiamento. Al tempo stesso si dà evidenza che tale deterioramento non è affatto irreversibile e, anzi, esistono notevoli riserve plastiche anche nel Sistema Nervoso Centrale di soggetti anziani.

IMG_3148Effetti dell’rMV sulla spasticità

La riduzione della contrazione involontaria  e delle co-contrazioni tipiche di molte forme spastiche è un problema di difficile e lunga soluzione. Gli interventi più seguiti sono oggi basati su farmaci paralizzanti o miorilassanti che, a fronte di un indubbio risultato, producono tuttavia un’ulteriore perdita di funzione, qualora questa residui, non raramente nuovo ed importante ostacolo al lavoro del terapista.

La capacità dell’rMV di aumentare l’efficacia di alcuni circuiti intracorticali in grado di circoscrivere la contrazione volontaria e al tempo stesso i dati in stesura sull’anziano che suggeriscono che il medesimo trattamento vibratorio sia in grado di rendere più attivabile la corteccia motoria primaria in soggetti che presentino ridotta eccitabilità di questa, ha permesso di ipotizzare un’azione positiva sulla spasticità, od almeno su alcune sue forme.

La nostra attenzione si è quindi concentrata su forme di spasticità in cui permanga della motilità volontaria residua, sia in quanto tali soggetti possono giovarsi particolarmente di un’attività riabilitativa, sia perché l’rMV richiede l’associarsi di contrazione muscolare volontaria + vibrazione. In queste prime fasi sono stati scelti stati cronici, allo scopo di evitare periodi della patologia segnati da modifiche spontanee e, non raramente, repentine.

Quanto rilevato è stato preliminarmente presentato al SIMFER di Roma (2008). In particolare, si è osservato:

Ø   una diminuzione della soglia di attivazione dell’area M1 pertinente al muscolo flessore radiale del carpo (FRC), suggerendo una migliore prontezza nel reclutare unità motrici, un aumento dell’area M1 relativa al FRC,

Ø   un aumento dell’inibizione intracorticale su questa stessa area,

Ø   una facilitazione reciproca sull’antagonista (estensore dorsale del carpo).

Ø   una diminuzione della spasticità (scala di Ashworth)

Ø   un aumento dell’outcome motorio (M.I. e WMFT)

I risultati si sono rivelati persistenti fino a 4 settimane dopo la fine del trattamento Massimo tempo di controllo.

L’applicazione del Crosystem su bambini affetti da spasticità da paralisi cerebrale infantile ha messo in evidenza la straordinaria e ben nota plasticità del Sistema Nervoso in età pre-adolescenziale ed adolescenziale. I risultati preliminari sono stati presentati in sede congressuale (7).

In questi studi preliminari si è potuto evidenziare come mediante la rMV sia possibile ridurre drasticamente le co-contrazioni agendo solo sui muscoli interessati dalla spasticità. In questi bambini infatti, anziché utilizzare la TMS, si sono analizzati gli effetti della rMV mediante “gait analysis”. Spesso si è potuto rinviare la chirurgia o l’impiego del Botox, con ampia soddisfazione dei pazienti, dei famigliari e dei terapisti.

Si è evidenziato e si sta evidenziando e documentando quanto ipotizzato, l’rMV effettivamente riduce marcatamente le co-contrazioni, presentandosi come un valido contrasto la spasticità.

Conclusione

Gli studi in atto e in fase di ultimazione allo scopo di fornire la documentazione scientifica i quanto osservato nel corso di questi anni sono più numerosi e concernono, tra gli altri, la Sclerosi Multipla, le lesioni dello SPE, le lesioni del Plesso Brachiale, le lesioni midollari.

Alcuni punti appaiono rilevanti.

Ø   La rMV è un protocollo non invasivo, basato su una vibrazione di ampiezza particolarmente bassa. La stimolazione appare del tutto tollerabile dai 4 anni in su, facile da applicare, anche se basata su una serie di regole molto rigide. Analogamente i parametri della vibrazione debbono essere del tutto costanti e piccole variazioni possono annullare i risultati, questo rende la strumentazione quasi immodificabile sotto il profilo tecnico.

Ø   La rMV non è scindibile dalla riabilitazione, si tratta solo di una procedura destinata ad aprire nuove porte alla riabilitazione, migliorando, con azione diretta sul Sistema Nervoso Centrale, il controllo della rigidità articolare. Una riabilitazione specifica e mirata dovrà sfruttare al meglio quanto ottenuto. I successivi interventi su un paziente con la rMV vanno definiti insieme ai terapisti o, meglio ancora, attuati dagli stessi terapisti secondo il progetto terapeutico impostato.

Ø   La rMV sta dando evidenza su quanto da tempo la riabilitazione afferma e cioè che la cronicità non significa la fine dei miglioramenti. Risultati importanti, spesso mostrati in video nei convegni sono stati ottenuti a più di 10 anni dalla lesione.

Ø   La rMV per la fisioterapia si presenta come la possibilità di entrare in settori che oggi sono quasi abbandonati: gli over 80, le lesioni neurologiche croniche,

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